domenica 21 dicembre 2014

Battabang e il ritorno del pane quotidiano

Il viaggio per Battabang, seconda città più grande del paese, dura 14 interminabili.
Risaie e canali, canali e risaie. Capanne. Canali e risaie, risaie e canali. Ogni tanto vedo qualcuno che pesca. I khmer hanno un sistema di pesca che assomiglia più alla lotta greco-romana. Si infilano nelle grandi pozze – da pochi a decine di metri quadrati – che costellano il loro paese e camminando piegati sott’acqua arrivano al pesce. Poi, a mani nudi o con delle rudimentali reti, cercano di afferrarlo. Le pozze sui sono di due tipi e sono facili da distinguere: quelle rettangolari generalmente si trovano in mezzo ai campi e sono state fatte dai cambogiani; quelle rotonde si trovano un po’ dappertutto e sono state fatte dagli USA a suon di bombe. Durante la guerra del Vietnam, tanto per non perdere l’allenamento.

Il panorama che vedrete per chilometri uscendo da Phnom Phen
La signora Ying va a pesca

Mentre chilometri di risaie sfilano davanti al finestrino, mi appisolo a tratti come un ubriaco. Quando siamo imbottigliati nel traffico di Phnom Phen il bus prende all’improvviso a procedere a strattoni. Tum Tum. Si spegne. Rimette in moto. Apro gli occhi e vedo dietro di me l’autista che esce dal bagno (una cabina di metallo messa sul fondo del bus). Tum. Tum. Chi è alla guida? Sporgo la testa e vedo uno dei passeggeri che tranquillamente restituisce il volante all’autista. Alla vescica non si comanda.

Dopo due mesi scopro che posso tranquillamente vivere senza pane 

Per la prima volta dopo mesi mangio del pane. Eredità del colonialismo francese, in Cambogia le baguettes non sono così difficili da trovare. Il panino con carne alla brace e verdurine in agrodolce è un regalo per il mio corpo intorpidito dal viaggio. L’altro regalo sono le lenzuola. È da quando sono in Asia che non sentivo il lusso di un lenzuolo sopra e uno sotto. Il tipo che mi consegna la chiave parla uno stentato inglese. In compenso sta studiando grammatica cinese. L’hanno capito presto, i khmer, in che direzione va il futuro.
Questa città con un nome da onomatopea mi delude. Arrivo al mercato alle cinque e ancora stanno arrivando i primi camioncini, le prime donne con i fagotti pieni di pesce o frutta. I baracchini ancora sono chiusi. Se non fosse per un vecchietto che frigge qualcosa di contundente rimarrei a digiuno. Bah, non c'è più religione.
Salgo su un bus per la mia ultima tappa cambogiana, la prima per qualunque altro turista: i templi di Angkor.

La forma poco accattivante del mercato di Battabang

Verdure...
...da aggiungere al pesce (il piagiama perchè è mattina presto). 

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