sabato 3 gennaio 2015

Dentro il vulcano Hibok-Hibok

Oggi Rosalie ha promesso di portarci sul vulcano Hibok-Hibok. Turo-Turo, halo-halo, tayo-tayo, sama-sama: nelle Filippine piacciono i nomi ripetuti, deve essere una eredità dei pappagalli tropicali nei primi giorni in cui nacque mondo.
Si inizia all'alba. È una soleggiata giornata di gennaio, con noi ci sono i tre francesi incestuosi più altri due pellebianca. Mi apro il passo a fatica nella giungla, mentre lei racconta esilaranti aneddoti dell’isola. Fa caldo e umido. Respiro affannosamente, mentre scivolo nel fango. I miei sandali sono al limite, della decenza e della rottura, decido di togliermeli. Calpestare insetti e larve non è un gran problema. Dare un calcio a una pianta grassa invece sì, e il bestemmione scuote l’isola più dell’ultima eruzione. Sanguino. La salita sembra non finire mai e in più non si vede nemmeno il panorama, circondati come siamo dalle liane e dagli alberi.

Posso dire di avere lasciato un'impronta a Camiguin

Dopo due ore inizio a sudare nervosismo. L’umidità è disperante. Arriva anche una leggera nebbiolina. Finché non sbotto: “quanto ci vuole per arrivare a ‘sto cazzo di cratere?”. Rosalie mi sorride: “ci siamo già”. Mi guardo intorno. Non avevo fatto caso alla leggera discesa. Alzo lo sguardo: tutto intorno ci circondano le pareti del cratere, completamente ricoperte di vegetazione. Siamo dentro il cratere. Scende il silenzio. È un luogo magico.

Il cratere visto da dentro, non te ne accorgi neanche...
...mentre dall'alto si può immaginare la lava dei giorni antichi

Le piante si fanno più basse, il cielo si apre sopra di noi tra la nebbiolina. Al centro del cratere un piccolo laghetto. Mi ci immergo, immaginando che dalle acque esca la Dama Bianca a consegnarmi Excalibur o qualcosa del genere. Un tuono scuote il laghetto. Non può essere che lei, sta arrivando. Chiudo gli occhi per rispetto verso la Dama Bianca. Non può essere guardata da occhi umani.
Di nuovo il tuono. Lei dev’essere già davanti a me.
Aspetto.
Un altro tuono. 
E improvvisamente si scatena il diluvio.
Corro come un forsennato verso il bordo del cratere, scivolando nel fango e urlando cose poco carine alla Dama di cui sopra. Iniziamo una penosa discesa che presto si trasforma in un doloroso toboga. Rosalie, lei solo sa perché, ride e canta e alza la faccia verso la pioggia ringraziando le divinità femminili. Io e i francesi tiriamo giù i nostri santi, maschi e femmine. Il mio poncho Goretex, esperto di ghiacciai perenni, cede sotto il peso prepotente della pioggia tropicale. Dopo mezz’ora siamo tutti senza maglietta, pieni di fango fino ai capelli, e la cosa sarebbe anche divertente o erotica se non fosse che ogni tanto uno di noi dà una culata e rischia la spina dorsale.  
Quando finalmente arriviamo sulla strada la pioggia ci ha già completamente lavati. 
Per riposarsi dalle fatiche ci spostiamo in un altro luogo magico: una zona di piscine naturali di acque termali. Lasciamo che l'acqua calda lenisca graffi e stanchezza


Relax, finchè non scende la sera

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