venerdì 2 gennaio 2015

Un itsilog in una mano e la Bibbia nell'altra

L’anno nuovo è identico al vecchio.
Nei villaggi i bambini vocianti si affollano davanti agli schermi degli striminziti cyber, gli uomini corrono dietro ai granchi appena scappati, le donne intessono gossip che farebbero impallidire la redazione di Novella 2000, le palme ondeggiano, il sole torna a splendere sopra la foresta, i pesci-Boselli recuperano il tempo perso cercando nuove idee dietro le rocce.
Prendo il mio scooter e vado a sud, c’è un baracchino dove fanno un itsilog da urlo. È il mio ultimo giorno a Camiguin e mi sembra il momento migliore per lanciarmi in una disquisizione teologica con la signora che cucina. Quando mi chiede se sono cristiano, invece di nicchiare come al solito, le  restituisco un no secco e gonfio di sfida. Le spiego il perché. Sono già a metà del mio litro di Red Horse. Lei si incaponisce, non sa cosa l’aspetta.

Allora? Lettera ai Tessalonicesi, versetto 34?

Mi cita il Vangelo. Ribatto con il Qohelet. Mi avvisa, con un tono a metà tra la minaccia e la pietà pelosa, che a quelli come me – cani infedeli, ma in fondo brava gente – spetta il purgatorio. Le domando, visto che è tanto pia, in che parte del Vecchio o Nuovo Testamento si parla del purgatorio. Incassa il colpo. E la verginità della Madonna? Lei quanti figli ha, signora? Ho finito la Red Horse, non mi ferma più nessuno. Ormai alle strette, la signora dispiega il Dogma davanti a me, convinta che mi faccia impressionare dalla D maiuscola. La discussione si fa accesa. Non mi dice in faccia che sono un povero miserabile, ma i suoi occhi parlano per lei. Prima di arrivare alle mani e alla proclamazione dell’Ottava Crociata, pago il conto e risalgo sulla moto.
Sono contento: dopo il tipo indù della cartoleria a Katmandu e il monaco buddista di Sambok, ho chiuso in bellezza il mio trittico religioso.

La strada mi chiama e riparto (ubriaco)

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