mercoledì 7 gennaio 2015

Undici punti e non è una goleada

Il cielo è di un azzurro Tiziano, il mare un cristallo. L'ospedale può aspettare, il giro in barca continua. Ci dirigiamo verso un'isola da depliant, dove consumiamo un pranzo ancora più da depliant. Scopro che il pesce-unicorno è il mio preferito, insieme a delle alghe pallinoformi. L'isola appartiene a un tipo che l'ha comprata per un milione di euro, qui si può fare. È un paradiso. Mentre gli altri snorkelizzano mi butto su un'amaca, pensando al futuro della mia gamba. Ho il terrore dei punti, chiederò delle graffette. Sempre che ce l'abbiano. Sempre che ci sia un ospedale sull'isola.
Torniamo. L'ospedale esiste ma è grande come il garage di mia nonna.

Qui mi hanno cucito come una tovaglia strappata

Ci sono dei poliziotti, uno è armato. Chiedo al mio accompagnatore che succede. Lite in famiglia, la solita moglie picchiata dal marito che verifica i danni prima di denunciarlo alla polizia. Ah. Mentre davanti a me si consuma un melodramma degno di Spaccanapoli, arriva il dottore. Lo guardo e lo capisco subito: l'unico stronzo tra cento milioni di simpaticissimi suoi compatrioti. Gli chiedo le graffette, mi suggerisce  fermamente i punti, autoassorbenti. Graffette. Punti. Graffette. Punti. Staples, ripeto con voce ferma. Il dottore sono io, ribatte con il bisturi in mano. Ma la gamba è mia, insisto. Colpisce: con le graffette tra una settimana dovrei tornare in ospedale a togliermele. Touchè. Diosolosa dove sarò tra una settimana, domani ho un volo da prendere.

Il mio dottor Mengele è il secondo da sinistra (foto di repertorio)

Undici punti. Il dottore ha fretta, non aspetta che l'anestesia faccia effetto. I primi nove punti me li infligge sulla carne viva, mentre dalla porta fanno capolino le teste di curiosi di passaggio che assistono compunti allo spettacolo sanguinolento. Evidentemente la donna picchiata è andata via e non sanno più che fare. La privacy è un concetto relativo, in questo paese dominato dal gossip.
Per l'occasione faccio l'uomo. Ovvero ululo dal dolore, senza ritegno. Il dottore mi rimbrotta, non capisce tanta agitazione. Mi dice di pensare a qualcosa di bello. Gli rispondo che non è facile, quando uno ti sta cucendo la coscia. Bofonchia qualcosa con sufficienza, coperto dalla mie urla. Gli chiedo se ci gode. "Do you enjoy sewing me?". "Of course. This is my job", risponde impassibile. Apprezzo la sua sincerità. Gli dico che se vuole può darmi un altro paio di punti: uno in più uno in meno che differenza vuoi che faccia? 
Eccomi con uno splendido souvenir delle Filippine: meno male, non avevo ancora trovato una T-shirt degna di essere comprata.

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