Come sapete, ho la fortuna di beccare le
feste più importanti in tutti i posti dove vado. Qui si tratta del Natale. In
Cambogia nulla ti fa pensare di essere vicino al 25 dicembre, non esistono
cartelloni pubblicitari né vetrine infiocchettate. Non è che non si celebri:
semplicemente nessuno sa che è Natale. Non esiste.
Invece nelle Filippine è
un tripudio di berretti rossi, strenne, lucine colorate, stelline, A Merry
Merry Christmas e pacchianate varie. E delle bellissime lanterne tradizionali a forma di stella che decorano la strada, le chiese e gli usci delle case. Ci credete che qui giocano a tombola?
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Buon Natale! |
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Qui le stelle comete non hanno la coda, sono di un'altra razza |
È la
Vigilia, ci vuole una cena come Gesù comanda. Il mercato è
chiuso, così come il piccolo supermercato e i baracchini intorno alla piazza.
Uno strisciante panico si impadronisce di noi. Natale senza sfondarsi di cibo non ha senso, è contrario a tutte le tradizioni millenarie di tutte le civilità millenarie, esistenti e inesistenti, da Lemuria in poi. Poi incrociamo Marc, uno dei
migliaia di francesi incontrati in questo viaggio (chi minchia è rimasto in Francia, se
tutti i francesi sono in Asia?).
Marc però è diverso. Lui è matto come un cavallo. Ossuto e
dinoccolato alla Benigni, con i capelli lunghi e scompigliati, sui
sessanta, viene qui ad Anda da anni. La voce popolare mormora che si sia
innamorato di una filippina di circa vent’anni, poi messa incinta da un terzo
incomodo: basta mettere piede nel mercato per sapere tutti i dettagli del melodramma. Pazzo già da prima o impazzito in seguito, Marc prende in giro
tutti, si muove scompostamente, fa grandi sorrisi. È intelligente e simpatico,
e soprattutto è un gran figlio di puttana. Conosce ogni anfratto dell’isola (e delle isolane, si dice).
Quando ci
vede disperati ci porta da un suo vicino che vende polli allo spiedo. Aggiunge un
poco di riso. Da qualche parte spunta una bottiglia di Bordeaux. In pochi
minuti montiamo una ottima cena di Natale. Dopo avere divorato con le mani il
pollo innaffiato dal rosso, Coralie dà fondo alla sua riserva di Tanduay.
Il rhum Tanduay è come la
Beer Lao in Laos o la Guinness in Irlanda: simbolo
di un paese intero, scorre nelle vene dei suoi abitanti a fiume. Peccato che
ogni tanto lo mescolano con il succo d’ananas, ma ho capito che qui i
mix
aleatori e improbabili sono la base della cucina locale. Sicuramente eredità
degli USA.
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Un piccolo aperitivo prima del cenone |
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Il nostro cenone di Natale (dopo) |
Mentre ci scoliamo allegri la terza bottiglia, dalla chiesa
vicina arriva il primo Alleluia. Ci
guardiamo perplessi, poi ci dirigiamo con passo incerto verso il sagrato. Ci
infiliamo tra i bambini inamidati e le donne cosparse di bigiotteria per
carpire elementi esotici. Nessuno. Il nostro occhio alticcio fruga tra la folla alla ricerca di un elemento degno di nota. Nessuno. La messa è la solita, sfiancante,
interminabile tiritera che serve da vetrina alle ragazze in cerca di marito. Non ci interessano: io sono obnubilato dall'alcool, Coralie è in stagione etero, Marc se l'è già bombate tutte. Un
po’ delusi dal folklore locale, torniamo barcollanti al nostro Tanduay. Buon Natale! Joyeux Noël! Merry Christmas! Crolliamo tra la comunione e
il segno della pace. Quando i filippini sfilano davanti casa stiamo già
russando.
Ma non è finita qui. Anzi.
La notte è dolce. La brezza marina muove gentilmente le
palme, la risacca accompagna le prime pigre onde sulla spiaggia di sabbia
bianca. Io dormo il sonno dei giusti.
Poi, alle cinque di mattina, l'Armageddon.
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Questa è la prima cosa che ho pensato al svegliarmi |
Non capisco nemmeno cosa stia succedendo: so solo che le
pareti della mia stanza iniziano improvvisamente a tremare, mentre un assordante frastuono
scuote l'universo. Intontito e anche un poco spaventato esco fuori. Penso a un
terremoto, a un tifone, a uno tsunami,
in fondo da questa parti sono frequenti come un bus in ritardo.
Poi li vedo.
Davanti a me.
Una cinquantina di persone di
tutte le età, dai bambini quasi in fasce alle nonne bastonemunite. Ballano musica tecno, sparata a un volume che sarebbe
fuorilegge in qualunque nostra discoteca. Mi stropiccio gli occhi. Lo giuro: per
un momento sono convinto di stare sognando.
Quando anche Coralie e Zaka escono
dalla loro casetta, capisco che è tutto vero. Neanche Fellini avrebbe osato
immaginare tanto. È quasi l’alba e questi si agitano frenetici, dimenando le cicce,
cantando a squarciagola qualcosa che ricorda l'ultimo canto d'amore di una foca
agonizzante. Li guardo a bocca aperta, incapace di muovermi. Steve, un
canadese che sta nel bungalow accanto a me, marcia a muso duro verso il gruppo,
deciso a staccare l'impianto elettrico di tutto l'isolato. Lo fermiamo in
tempo.
L'apocalisse dura mezz'ora.
Finito lo strazio, si siedono e
come se niente fosse tirano fuori le loro borse termiche. Sono le cinque e
mezzo e tutti iniziano a fare colazione: riso, granchio bollito, pesce arrosto,
mango, ganda con carne tritata, torta
di ube. Ci invitano, con grandi
sorrisi sudati. Non li mandiamo a fare in culo solo perché sono più grossi e
più numerosi di noi.
Buon Natale!