I due giorni a Camiguin sono passati in fretta. Rosalie mi
accompagna a prendere il volo. L’addio dura troppo e mi ritrovo a correre sulla
pista dell’aeroporto, sbracciandomi come un dannato, mentre il portellone dell’aereo
viene riaperto a motori già caldi. I soliti italiani.
Dopo alcune ore arrivo a El Nido, una delle destinazioni
turistiche più popolari delle Filippine. Il perché lo capisco i due giorni
successivi, quando salgo su una enorme bangka (l'imbarcazione locale con i due pinnoni laterali di bambù) e vedo il mare più bello della mia vita.
Lagune segrete, scogliere a picco, spiagge immacolate, grotte da favola,
tartarughe giganti che ti nuotano accanto. Ci sono dei posti in cui le
descrizioni servono a poco e – ahimé – diventa vera quella puttanata secondo
cui un’immagine vale mille parole.
E quindi mi fermo: qui sotto trovate la cronaca visuale dei miei giorni a El Nido.
E quindi mi fermo: qui sotto trovate la cronaca visuale dei miei giorni a El Nido.
Dei ragazzi mi dicono che El Nido fino a dieci anni fa era
un paese di pescatori, con quattro baracche in riva alla spiaggia, le grandi bangka a riposare sul bagnasciuga.
Adesso a ogni angolo delle tre strade stanno costruendo una guesthouse o un ristorante. Tra pochi
anni il lungomare sarà invaso da turisti che sorseggiano daiquiri. I bar saranno pieni di russi grassi, depilati e
chiassosi. I negozietti di souvenir prenderanno il posto dei carretti che
vendono gelati artigianali (brioche col
gelato! Buonissime!). Chiedo ai ragazzi se la cosa li intristisce o li fa
indignare. Si guardano tra di loro, come se non avessero capito la domanda.
Fino a dieci anni fa qua si moriva di fame, dicono, e per trovare un lavoro
dovevamo emigrare.
Discorso chiuso: le nostalgie da occidentale equo e solidale
me le tengo per me, e mi consolo con una gigantesca brioche col gelato.
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