giovedì 23 ottobre 2014

Dingbouche: puzzare come yak o congelarsi le palle a 15 gradi sottozero?

Da Lukla in poi non esistono strade. Tutto viene portato a spalle o, per i più ricchi, a dorso di yak. Tutto vuol dire TUTTO. Se hai bisogno di un forno, di una porta, di mattoni, di un sacco di cemento, c’è solo un modo: fascia in testa, schiena curva e via, a macinare chilometri. È quello che fanno tutti, dalla nascita, da innumerevoli generazioni. Vedo ragazzini con bombole di butano correre giù per pendii ripidissimi. Uomini chini sotto il peso di interi tronchi d’albero. Mi dicono che possono portare una media di 50-60 chili a testa, in quelle condizioni. Non mi dicono però qual è la media di anni che raggiungono, in quelle stesse condizioni.



Lungo il cammino incontriamo diverse tea house dove dormire. Semplici, ma confortevoli. L’unico riscaldamento è dato da una stufetta nella stanza centrale, accesa per un paio di ore al massimo e alimentata da cacca di yak.
Non hanno intenzione di lavarsi con questo freddo, i miei tre trekking partners. Sozzi, oltre che caciocavalli. Hanno lo zaino zeppo di salviette umidificate, sembrano un asilo nido in trasferta. Io mi preparo il mio bel secchio di acqua gelida, mi spoglio, me lo getto addosso e canticchiando “Ghiaccio bollente” di Tony Dallara mi sfrego le ascelle con vigore. È notte, fuori ci sono -15 gradi.

1 commento: