venerdì 24 ottobre 2014

Le comadri di Lobuche e l'arte postmoderna

Mi sveglio alle cinque, come sempre. Esco dal sacco a pelo e davanti a me mezza carcassa di yak penzola appesa a un gancio, in pieno corridoio. È il vantaggio di non avere bisogno dei frigoriferi.
Inizia a far freddo sul serio. Siamo sopra i 5000 metri. L’acqua nelle tubature è congelata. L’acqua nei bidoni è congelata. Mollo un pugno e spezzo lo strato superiore, poi mi lavo il viso. Mica ho le salviettine umidificate, io. Perdo immediatamente sensibilità su tutti i muscoli facciali, acquisendo per qualche secondo l’imperturbabilità di un lama tibetano. Trucco scoperto! Altro che meditazione!

(foto di Lachlan Jones)
Mentre gli altri fanno colazione vado a lavare i panni al fiume. Incontro due donne sherpa. Namaste. Namaste. Ci salutiamo con grandi sorrisi. I loro sorrisi sono un po’ troppo evidenti, però. Saranno i miei pantaloncini corti, penso. Qui sull’Himalaya non ho visto nessun altro indossarli. Pappemolli. Molluschi. Ominicchi. Gonfio il petto di maschio orgoglio e comincio a lavare. Una mi indica, ora ride apertamente. Inizio a innervosirmi. Strofino più in fretta, mentre le due comadri ridono sempre più sguaiatamente. No, non sono i pantaloncini. Finisco di lavare, decisamente a disagio. Afferro le calze bagnate, ma non ci riesco: in pochi secondi si sono congelate insieme a mutande e maglietta in un unico, inamovibile blocco di ghiaccio. Solo dopo averlo preso a calci riesco a staccarlo, a fatica, dalla roccia. Mi metto in spalla la mia scultura postmoderna in cotone, ghiaccio e acrilico e vado via, seguito dagli sghignazzi delle due donne che ormai echeggiano nella valle. Lo racconteranno per generazioni, intorno al fuoco di cacca di yak, di quell'imbecille che lavava i panni all’alba.

2 commenti:

  1. Grande, Giovanni :) Buon viaggio, e felici quarant'anni a venire.

    Annamaria

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  2. Tu scrivi da Dio!!!!! Fantastico, un vero piacere leggerti.
    Alessandra

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