Inizia a far freddo sul serio. Siamo sopra i 5000 metri. L’acqua
nelle tubature è congelata. L’acqua nei bidoni è congelata. Mollo un pugno e
spezzo lo strato superiore, poi mi lavo il viso. Mica ho le salviettine
umidificate, io. Perdo immediatamente sensibilità su tutti i muscoli facciali,
acquisendo per qualche secondo l’imperturbabilità di un lama tibetano. Trucco
scoperto! Altro che meditazione!
(foto di Lachlan Jones) |
Mentre gli altri fanno colazione vado a lavare i panni al fiume.
Incontro due donne sherpa. Namaste. Namaste. Ci salutiamo con
grandi sorrisi. I loro sorrisi sono un po’ troppo evidenti, però. Saranno i miei
pantaloncini corti, penso. Qui sull’Himalaya non ho visto nessun altro
indossarli. Pappemolli. Molluschi. Ominicchi. Gonfio il petto di maschio
orgoglio e comincio a lavare. Una mi indica, ora ride apertamente. Inizio a
innervosirmi. Strofino più in fretta, mentre le due comadri ridono sempre più
sguaiatamente. No, non sono i pantaloncini. Finisco di lavare, decisamente a
disagio. Afferro le calze bagnate, ma non ci riesco:
in pochi secondi si sono congelate insieme a mutande e maglietta in un unico,
inamovibile blocco di ghiaccio. Solo dopo averlo preso a calci riesco a staccarlo,
a fatica, dalla roccia. Mi metto in spalla la mia scultura postmoderna in cotone, ghiaccio e acrilico e vado via, seguito dagli sghignazzi delle due
donne che ormai echeggiano nella valle. Lo racconteranno per generazioni,
intorno al fuoco di cacca di yak, di
quell'imbecille che lavava i panni all’alba.
Grande, Giovanni :) Buon viaggio, e felici quarant'anni a venire.
RispondiEliminaAnnamaria
Tu scrivi da Dio!!!!! Fantastico, un vero piacere leggerti.
RispondiEliminaAlessandra