martedì 25 novembre 2014

Farang!


È la prima parola che imparo in lao: farang è l’uomo bianco, occidentale, straniero, turista. La maggioranza dei farang che arriva qui vuole percorrere il Mekong: due giorni di slow boat che ti portano dritto dritto alla città di Luang Prabang. In ogni barcone stipano 80, spesso 100, turisti. Accalcati, sudati, esaltati, mitragliando centinaia di scatti fotografici al secondo, sobbalzando con gridolini di sorpresa a ogni esotico rutto di zanzara. L'idea mi atterrisce.

Così immagino le slow boats...
...e così sono nella realtà. Cioè molto peggio.

Da dietro le rughe astute miss Changpeng mi propone una piroga con cui risalire il Nam Tha, un fiume più piccolo che va a nord invece che a sud. Non è il Mekong, ma vuoi mettere evitare i turisti e fare l'alternativo? Sempre di due giorni si tratta, e il fiume è altrettanto affascinante. Mi spara un prezzo esorbitante. Con quella cifra mi ci compro l'intera guest house, le rispondo, compresa sua sorella che ci guarda sottecchi da un angolo in penombra. Miss Changpeng non si scompone: basta che io trovi altri 4-5 fessi (non dice "fessi" ma farang, che è praticamente un sinonimo) con cui dividere la spesa ed è fatta. Ma io mica sono come quel farang di McNeally che ha perso la guerra. Indosso la mia migliore faccia di bronzo e sono già per strada, fermando ogni turista che incontro. Finalmente becco due simpatici francesi, anche loro allergici ai rutti di zanzara e agli scatti fotografici di massa. Sono tipi svegli. Si va al molo a parlare direttamente con i pescatori. Già, i moli. I moli non sono altro che le sponde fangose del fiume, dove per un paio di chilometri sono sparse barche, barconi e piroghe. Alla rinfusa, come bastoncini dello Shangai. Nessuno sa darci indicazioni precise. Neanche imprecise. Ma noi siamo turisti alternativi, no? Ci mettiamo tre ore. Si fa notte, ci ritroviamo nel fango fino ai polpacci, a sgolarci senza ritegno. Nam Tha! Nam Tha! Immaginatevi tre coreani che verso mezzanotte camminano nella melma del lungofiume di Ostia gridando Tevere! Tevere! e vi farete un’idea. 

Il molo turistico di Huay Xay, quello delle slow boats


In fondo al buio più pesto vediamo muoversi delle ombre. Luang Nam Tha! Luang Nam Tha! sbraitano mentre si avvicinano. O sono turisti alternativi anche loro o abbiamo trovato i nostri uomini. La fortuna è dalla nostra parte, ma solo a metà: nessuno dei pescatori spiccica una parola d'inglese che sia una. Situazione di stallo. Ci si urla gli uni agli altri Luang Nam Tha! Luang Nam Tha!, ripetutamente, aspettando forse che prima o poi, stanco di tanto chiasso, dal cielo discenda lo Spirito Santo e ci conceda il dono delle lingue. Finché uno di loro, evidentemente poco familiare con il vangelo, tira fuori un cellulare e telefona alla figlia. Per telefono, al buio, sprofondati nel fango scivoloso, in un inglese più sbilenco delle loro piroghe, ci imbarchiamo in contorte negoziazioni alla Totò e Peppino De Filippo. Alla fine stabiliamo l'ora e il prezzo. Ce ne andiamo con il dubbio di avere contrattato diversi chili di pesce fresco invece di un passaggio in barca. Male che vada domani ci facciamo una gran frittura mista. 
L'importante è avere fregato miss Changpeng.

La nostra piroga! (foto di Valerie Berland)

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