È la prima parola che imparo in lao: farang è l’uomo bianco, occidentale, straniero, turista. La maggioranza
dei farang che arriva qui vuole
percorrere il Mekong: due giorni di slow
boat che ti portano dritto dritto alla città di Luang Prabang. In ogni
barcone stipano 80, spesso 100, turisti. Accalcati, sudati, esaltati,
mitragliando centinaia di scatti fotografici al secondo, sobbalzando con gridolini
di sorpresa a ogni esotico rutto di zanzara. L'idea mi atterrisce.
Così immagino le slow boats... |
...e così sono nella realtà. Cioè molto peggio. |
Da dietro le rughe astute miss Changpeng mi propone una
piroga con cui risalire il Nam Tha, un fiume più piccolo che va a nord
invece che a sud. Non è il Mekong, ma vuoi mettere evitare i turisti e fare
l'alternativo? Sempre di due giorni si tratta, e il fiume è altrettanto affascinante.
Mi spara un prezzo esorbitante. Con quella cifra mi ci compro l'intera guest house, le rispondo, compresa sua
sorella che ci guarda sottecchi da un angolo in penombra. Miss Changpeng non si
scompone: basta che io trovi altri 4-5 fessi (non dice "fessi"
ma farang, che è praticamente un
sinonimo) con cui dividere la spesa ed è fatta. Ma io mica sono
come quel farang di McNeally che ha
perso la guerra. Indosso la mia migliore faccia di bronzo e sono già per strada,
fermando ogni turista che incontro. Finalmente becco due simpatici francesi,
anche loro allergici ai rutti di zanzara e agli scatti fotografici di massa. Sono
tipi svegli. Si va al molo a parlare direttamente con i pescatori. Già, i moli. I moli non sono altro che le sponde fangose del fiume, dove per un
paio di chilometri sono sparse barche, barconi e piroghe. Alla rinfusa, come bastoncini dello Shangai. Nessuno sa darci indicazioni precise. Neanche imprecise. Ma noi siamo turisti alternativi, no? Ci mettiamo
tre ore. Si fa notte, ci ritroviamo nel fango fino ai polpacci, a sgolarci senza
ritegno. Nam Tha! Nam Tha! Immaginatevi tre coreani che verso mezzanotte camminano nella melma del lungofiume di Ostia gridando Tevere! Tevere! e vi farete un’idea.
Il molo turistico di Huay Xay, quello delle slow boats |
In fondo al buio più pesto vediamo muoversi delle ombre. Luang Nam Tha! Luang Nam Tha! sbraitano mentre si avvicinano. O sono turisti alternativi
anche loro o abbiamo trovato i nostri uomini. La fortuna è dalla nostra parte,
ma solo a metà: nessuno dei pescatori spiccica una parola d'inglese che sia
una. Situazione di stallo. Ci si urla gli uni agli altri Luang Nam Tha! Luang Nam Tha!,
ripetutamente, aspettando forse che prima o poi, stanco di tanto chiasso,
dal cielo discenda lo Spirito Santo e ci conceda il dono delle lingue. Finché uno
di loro, evidentemente poco familiare con il vangelo, tira fuori un cellulare e
telefona alla figlia. Per telefono, al buio, sprofondati nel fango scivoloso, in un
inglese più sbilenco delle loro piroghe, ci imbarchiamo in contorte negoziazioni
alla Totò e Peppino De Filippo. Alla fine stabiliamo l'ora e il prezzo. Ce ne
andiamo con il dubbio di avere contrattato diversi chili di pesce fresco invece
di un passaggio in barca. Male che vada domani ci facciamo una gran frittura
mista.
L'importante è avere fregato miss Changpeng.
La nostra piroga! (foto di Valerie Berland) |
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