venerdì 21 novembre 2014

L'importanza di chiamarsi Chiang (o Japà)

Qui al Nord mi sorridono tutti. Cammino per strada e mi sorridono. Ordino qualcosa e mi sorridono. Chiedo un passaggio in camion e mi sorridono. Devo decidermi a mettermi i pantaloni lunghi.

Viaggio alternativo vuol dire ignorare con nonchalance questo...
...il candido Wat Rong Khun!

Dopo Chiang Mai e Chiang Dao andrò a Chiang Khong. Ho deciso di passare per tutti i posti che iniziano per "Chiang". Ognuno sceglie l'itinerario a modo suo, io sono scrittore e mi lascio guidare dai nomi.
(però come un fesso ho saltato Chiang Rai, annoiato dai soliti templi pieni di trine tipo Wat Rong Khun).

Un songthaew in azione

Arrivo a Chiang Khong dopo un'estenuante viaggio in songthaew, cinque ore di curve. Insieme a me un pittoresco giapponese. In realtà non sono per niente sicuro che sia giapponese, però da ore non fa altro che sorridere, indicando se stesso e dicendo "Japà". Forse si chiama Japà. È il fatto di sorridere senza motivo che me lo fa identificare come giapponese. Ha circa 60 anni e i vestiti più o meno della stessa età, una enorme valigia di cartone, gli occhiali rattoppati con lo scotch, si muove nervosamente. Ogni tanto vomita dal finestrino, poi si gira verso di me e mi sorride. Japà! Japà! - fa orgoglioso mentre si passa il fazzoletto sporco sulla bocca. Poi sporge la testa e vomita di nuovo. E torna a sorridermi felice. Japà! Japà! Per cinque ore. Come non volergli bene?

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