sabato 29 novembre 2014

Maglia rosa nel Tour de Don Khong

Con Scott e Nicolet noleggiamo delle bici e ci lanciamo nel giro dell'isola. Beh, noleggiare: incrociamo per strada una vecchietta con tre bici che stanno in piedi per miracolo. Le chiediamo se ce le dà. Lei con le dita indica il prezzo. Sono 5000 kip, mezzo dollaro. Controlliamo le ruote, sull'isola non c'è il (sempre sia lodato) asfalto. I freni non funzionano, ma tanto non servono.
Quando e dove e come dobbiamo riconsegnarle? La vecchia fa un gesto vago, come a dire che la vita è troppo breve per perdere tempo in tali minchiate. I nostri automatismi europei ci costringono a ripetere la domanda. Sento Scott che freme per chiederle dell'assicurazione per danni contro terzi, lo fermo appena in tempo. La vecchietta indica distrattamente un albero vicino: quando finiamo lasciamo le bici là sotto, in mezzo alla campagna, lei prima o poi andrà a riprenderle. Penso ai contratti illeggibili di noleggio auto, ai serbatoi da restituire pieni, alle mille postille-capestro di Hertz o Avis. E auguro lunga vita al Laos e alle sue vecchiette.

L'albero grande a sinistra è la sede dell'agenzia di noleggio


L'isola è splendida, risaie e gradi spazi aperti. Verde. Tranquillità. Silenzio. Lo stesso silenzio che c'è tra noi e i suoi abitanti.
Ecco, la lingua è un grosso problema. Non si può dire che i lao siano molto espressivi, nè che il loro linguaggio corporale aiuti. Sono sempe impassibili, sereni, amabili. E l'espressione con cui catturano un pesce è la stessa con cui comunicano la morte di un familiare. In questo non sono molto diversi da Scott.  
C'è un'unica occasione in cui non sono così. Nel periplo dell'isola incontriamo un vecchio professore che parla francese. Gli dico di slancio che moi aussi, commosso di potere finalmente conversare con qualcuno. Se avessi aspettato qualche secondo mi sarei accorto che i suoi occhi rossi invece non sono di commozione. E che ha l'alito carico di lao-lao. Ma ormai è troppo tardi: il professore attacca una pippa interminabile su solo-lui-sa-cosa. Il sole inizia a picchiare forte. Scott e Nicolet danno segni d'impazienza, mentre l'ubriaco si lancia nella difesa di solo-lui-sa-che. Quasi si attacca alla bicicletta, quando me ne vado scappando

Un orizzonte basso che sembra uscito da una tavola di Gipi
Il pacifico Mekong ci scorre tutto intorno

Tutti mi guardano stupiti perchè giro in bici senza maglietta. In Asia ci si protegge meticolosamente dal sole, con 40 gradi all'ombra tutti vanno in maniche lunghe e con grandi cappelli: la pelle abbronzata non è sinonimo di spiaggia e ombrelloni ma di duro lavoro nei campi. Me ne fotto e vado a petto nudo. I lao mi guardano. Io sorrido. Aspettate vent'anni e vedrete come le vostre figlie si cambieranno il costume due volte al giorno per non mostrare il segno del bikini.
A un certo punto incrociamo due farang (francesi, ovviamente) in moto. Tradito dall'infido terricio, proprio davanti a noi, uno di loro scivola e si fa qualche metro scartavetrandosi contro il suolo. Il suo amico rimane paralizzato. Allora io e Scott ci avviciniamo per chiedergli se ha bisogno d'aiuto. Quando si rialza ha metà viso che gli penzola sul mento. Frammenti degli occhiali conficcati sulla guancia. Sangue come nemmeno in un film a basso budget. Mentre io svengo, lui ride: molto sangue non vuole dire niente, ci rassicura, e la pelle si può sempre ricucire. Ovviamente è un chirurgo: chi altri può mettersi a ridere con il volto ridotto in poltiglia? Il giorno prima Nicolet era svenuta per un colpo di sole, quindi lo indirizziamo verso una specie di presidio medico. Lo accompagnerei, se non fosse per paura di rivederlo in faccia (quella che gli è rimasta, almeno).


Qui hanno ricucito il medico francese dal riso facile

La  cosa più divertente è il ritorno. Ci attardiamo a mangiare uno zuppone su una grande palafitta, la notte ci sorprende nell'altra punta dell'isola. Andare in bici, su una sterrata sconnessa, nel buio più presto, è dura. A Scott fuoriesce la catena dal telaio una dozzina di volte. Imparo un sacco di espressioni pittoresche in inglese.
Avanziamo in questa formazione. 
Io davanti, che avviso gli altri gridando non appena sobbalzo per una buca. Al centro Scott, che mette alla prova i suoi riflessi e la sua perizia meccanica ogni volta che la catena esce fuori (oltre che il suo vocabolario). Chiude Nicolet, con la funzione di verificare che per un guasto tecnico Scott non vada fuori strada o rimanga indietro, scomparendo per sempre nella notte nera. Ci si tampona in continuazione. Anche l'olandese non è male, quanto a bestemmie.
Ci buttiamo nella guesthouse, abbandonando le biciclette sotto l'albero in riva al fiume.

Questo il panorama dalla terrazza della nostra guesthouse

Il giorno dopo andiamo anche nella più piccola e più turistica Don Khon. Sì, solo un g di differenza.
A parte un delirante progetto francese di ferrovia con l'isola di fronte di Don Det (l'unica linea ferroviaria mai costruita in Laos) e delle spettacolari cascate, nulla di rilevante. I soliti farang facendo tubing nella melma.
Mi domando quale ragione economico/geografico/antropologica fa sì che un'isola diventi una piccola Riccione in miniatura mentre quella accanto - praticamente identica - rimane deserta e ignorata. Che migliaia di turisti all'anno si affollino su un pezzo di sabbia di un chilometro di diametro, mentre tutto attorno c'è un paradiso inesplorato. Non la trovo. Ricorro alla saggezza di Obelix: ils sont fous, ces touristes!

Yoga su cascate (foto di Laura Jakubowitz)

Ils sont fous, ces français!

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