mercoledì 19 novembre 2014

Triangolo d'oro, regno di trafficanti e zanzare

A Chiang Mai rimango 20 minuti, il tempo di cambiare autobus. Avevo già prenotato la guest house, ma poco prima di arrivare leggo di montagne bellissime vicino al confine. Viaggio così, improvvisando, cambiando anche all'ultimo minuto la mia destinazione, solo perchè qualcuno mi parla di una grotta o di un villaggio. Detto così sembra molto bohemien, ma si fosse trattato di una suite da 500 dollari avrei pianificato il viaggio con dieci anni di anticipo.


A Chiang Dao vado a visitare le grotte in cui sono scolpiti i sacri Budda. Tento di entrarci senza guida e senza lanterna, facendo il gradasso con la lucettina del mio Nokia 1212, ma dopo un paio di metri una craniata alla roccia fa tremare gli imperturbabili sorrisi di pietra. La mia guida è una ragazza di circa vent'anni, paffutella e timida, parla uno stentato inglese. Rimango a chiacchierare con lei e le sue colleghe. Le solite domande di rito: sei sposato? quanti figli hai? prima ancora di chiederti il nome. Le solite risposte di rito: ho moglie e due figli, costretti in Europa per mancanza di vacanze. Una volta sola ho detto la verità e mi sono ritrovato sommerso di imbarazzantissime domande tutte del tipo "perchè alla tua età non ti sei ancora riprodotto?". Per anni ho rintuzzato invano quelle, solerti e stupite, di mia nonna: non ho intenzione di farmi triturare i coglioni anche dagli sconosciuti.
Mi dicono che sono bello. Domando loro il perchè. Tutte concordano sul fatto che ho un bel naso. Ah, ecco. I vantaggi del gap culturale.

Ci sono, ma non si vedono (le succhiasangue)
Mi infilo da solo nella giungla. Altamente sconsigliato dall'autista del songthaew che mi porta sul limitare dell'inferno verde, per cui non esito un attimo. Sono nel famigerato Triangolo d'oro, al confine con il Myanamar e il Laos, tra alberi alti 30 metri, liane e inestricabili foreste di bambù. Le piantagioni di oppio sono poche e ben nascoste, ma la metanfetamina arriva ancora a fiumi. La temperatura supera quella siciliana in un giorno di scirocco, però l'umidità rende il tutto mille volte peggio. Penso al gelo himalayano e sospiro. Per quel che posso, perchè qui anche sospirare è un'impresa. Mi muovo con circospezione, da un momento all'altro potrebbe saltare fuori un vecchio vietcong convinto che la guerra non è ancora finita. Intanto milioni di zanzare mi circondano e mi annebbiano la vista. Non credevo che di una specie animale potessero esistere così tanti esemplari. E che potessero essere tutti concentrati in un paio di metri cubici. Fanno scempio di me e della mia carne. Capisco perchè gli USA hanno perso la guerra. E anche perchè avrei dovuto prendere la caramella benedetta del tempio a Bangkok. Ne esco dopo un paio d'ore, sfinito e soddisfatto, ma soprattutto sicuro di avere preso la malaria.

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