venerdì 14 novembre 2014

I bambini di Pokhara: dolcetto o rupietta?

Pokhara è un altro mondo rispetto a Kathmandu.
Strade tranquille, aria tersa, un meraviglioso bosco con un tempio dorato che svetta sulla città, l’Annapurna sullo sfondo, decine di barche che galleggiano colorate e sonnacchiose sulla superficie del lago, pochi negozi, quasi nessuno per strada. Sono diversi i gesti, gli sguardi, i movimenti della gente.

Ma non è tutto oro quel che tace.
Me lo spiega Krishna, un omone grande e grosso che ospita nella sua casetta a  tre piani una dozzina di bimbi: insieme a sua moglie li cura, li veste, dà loro da mangiare, li fa andare a scuola. Come se fosse una grande famiglia. Mi parla di abusi, violenze, bimbi venduti come schiavi alle famiglie ricche, in un sistema dove le caste sono tutto. Se nasci nella casta sbagliata, è finita. E c’è veramente poco da fare. Lui è uno di quelli che fa questo "poco".
Siccome è ancora tempo di feste, mi invitano a condividere con loro il “pranzo di Natale”, con tutti i rituali del caso. Durante un'emozionante cerimonia mi segnano il tikka sulla fronte. Nel pomeriggio vado con i bimbi casa per casa, a ripetere a squarciagola le filastrocche tipiche, chiedendo dolcetti o qualche rupia. La mia carriera è fulminea: in un'ora da corista passo a tesoriere, poi tamburo ufficiale. Loro si divertono un sacco a vedere un occidentale cantare storpiando tutte le parole, io rimango incantato a vederli sorridere e danzae.

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