mercoledì 26 novembre 2014

La temibile ubriacatura da lao-lao

Verso il tramonto arriviamo al villaggio. Attracchiamo sulla riva, nella parte benestante, in cui spiccano due o tre case in muratura. Attraversiamo un ponte di bambù intrecciato e arriviamo dall’altra parte della collina, in quello che subito definiamo “la periferia”: capanne di bambù e lamiera, un bufalo, bimbetti scalzi che rincorrono polli. I polli ci vedono e scappano. I bambini ci vedono e si fermano di botto. Ci guardano straniti, alcuni spaventati, altri sospettosi: non hanno mai visto un farang prima d'ora. Una vecchia sdentata ci offre la sua pipa. Enguerrant crede che sia oppio e allunga la mano. Ma non c'è tempo per il calumet della pace, il sole sta calando e dobbiamo tornare nel quartiere-bene.

Mentre attraverso il ponte tra ricchi e poveri (foto di V. Berland)
Case popolari (foto di Valerie Berland)
La vecchia con la pipa (foto di Valerie Berland)

Si cena con il nonno, i nostri anfitrioni e i figli rimangono nella capanna-cucina, mentre la nonna da ore è intenta a fare bollire qualcosa in un enorme calderone. Il nonno ci offre fave secche, grossi semi di girasole e una specie di patatine fritte. Tutto buono, soprattutto le ultime. Poi il vecchio si alza, scoperchia un bidone e ci mostra dei grossi vermi bianchi che brulicano sul fondo. Mi sembra di cattivo gusto, in fondo stiamo cenando, ma non conosco ancora a sufficienza il galateo lao per dargli del cafone. Il nonno insiste e mi indica ancora il bidone con i vermi. Non gli faccio caso e continuo a mangiare le patatine. Il nonno mi indica il bidone, poi le patatine. Allora guardo anch'io le patatine. Poi guardo il bidone. Poi guardo di nuovo le patatine. Le patatine guardano me. Solo che il loro sguardo, a differenza di quello dei bufali d'acqua, è spento. Capisco che le patatine sono vermi del bambù fritti. Siamo turisti alternativi, no? Ne afferro una grande manciata e ne chiedo ancora, sono saporiti e croccanti.

Sa come andrà a finire e se la ride (foto di V Berland)

Intanto la nonna porta a tavola una bottiglia di lao-lao, il temibile liquore locale ottenuto distillando il riso. Questo stava facendo da ore. A giudicare dalla capienza del calderone, contiene il fabbisogno annuale per tutto il villaggio. Ma il largo sorriso del nonno al porgermi la bottiglia mi fa capire che non è così. Lo proviamo. Stesso grado alcolico dell'etanolo industriale. Sapore assente, visto che brucia la totalità delle papille gustative al suo passaggio. Nelle raccomandazioni ai viaggiatori stilate sul sito del Ministrero degli Esteri  l'ubriacatura da lao-lao è al terzo posto di pericolosità, dopo la scampagnata a Chernobyl e la lettura pubblica della Bibbia a Kabul.
Dopo pochi minuti siamo tutti e quattro ubriachi come scimmie sotto il tavolo, a cantare contemporaneamente La vie en rose (i francesi), Venditti (io, non chiedetemi il perchè) e un tradizionale canto di caccia lao (il nonno). In perfetta armonia. Senza stonare una nota. Dopo di che, il buio.

"Patatine" fritte in stile lao
Se me li presentavano così non li mangiavo nemmeno ubriaco




Nessun commento:

Posta un commento