sabato 6 dicembre 2014

Skipping Vientiane: una notte di tregenda

Saltare le capitali. Sono quanto più simile esiste al mondo occidentale, che già conosco a sufficienza: perchè perdere tempo a Vientiane, dopo averne perso già troppo a Bangkok? Dopo il bus notturno ne prenderò un altro all'alba, arrivando nel pomeriggio a Tha Khaek, per un totale di 18 ore. Sembrano assai, ma quando si viaggia con un bus locale diventano infinite. Se si viaggia in uno dei posti dietro, l'infinito si eleva al quadrato. Se avete difficoltà a maneggiare questi astratti concetti matematici, venite in Laos e vedrete come il tutto diventa improvvisamente tangibile.

C'è rimasto ancora spazio: lo carichiamo l'elefante?

Nonostante l'arruginito bestione sia pieno come un uovo, con tanto di casse e fagotti ammonticchiati nell'esiguo corridoio, la fila di sedili sul fondo è vuota. Con candido ottimismo mi ci stiro sopra, con tutto lo zaino, pregustandomi la dormitina notturna. Avrei dovuto domandarmi perchè quei posti sono vuoti, ma sono arrivato in ritardo e non ho altra scelta. E comunque il motivo lo scopro non appena il bus si mette in moto. All'unisono, tutti i passeggeri si coprono le facce con dei fazzoletti. Penso subito a un assalto alla diligenza al contrario, dove noi derubiamo i passanti. Ci pensate? Un bus-bandito, con la refurtiva nascosta nella capiente pancia di lamiera, insospettabile e protetto dall'omertà di tutti. Paghi il biglietto, porti un'arma e hai diritto alla tua parte di bottino. Intanto tutti si girano a guardarmi. Faccio il viso duro, così capiscono che possono contare su di me per la prossima rapina.

C'è rimasto ancora spazio: nessuno vuole levitare sotto il tetto?

E invece sono sguardi di compassione. Non so come, ma l'ingegnosa ingegneria creativa locale fa terminare il tubo di scappamento non fuori, ma dentro il mezzo. Quintali di biossido di carbonio, policarburi incombusti e metalli pesanti finemente polverizzati iniziano a riversarsi sul sottoscritto. A occhio e croce il bestione non ha passato la revisione. Da quando è stato costruito. Con il sorriso di sufficienza dell'intrepido esploratore apro il finestrino e metto la testa fuori, a prendere aria. Disposto a stare così tutta la notte, se necessario. Ma l'ingegnosa ingegneria creativa locale ha stabilito che buona parte dei gas di scarico arrivino pure lì, mentre il vento mi congela naso e orecchie. E stanotte i moscerini hanno deciso di suicidarsi tutti contro la mia faccia.


Torno dentro, mi metto un fazzoletto nelle narici e rallento il metabolismo, raggiungendo l'apnea dei grandi mistici indiani. Facilitato dal fatto che i sedili sono comodi come il letto di un fachiro. L'autista mette l'ultima fatica della sua cantante preferita, una dolcissima nenia. A massimo volume, nel caso qualcuno di noi venisse sfiorato dalla malaugurata idea di socchiudere gli occhi. "Non dormo io - mi pare di sentirlo sussurrare, mentre un ghigno gli attraversa il volto - e non dormirete nemmeno voi, bastardi".
Io intanto penso al mio prossimo viaggio: una crociera all inclusive in cui non devi alzarti dalla poltrona nemmeno per pisciare. 

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