Altro che Desigual! |
Lascio Luang Prabang nel tardo pomeriggio. Per un attimo penso di prendere un tuk-tuk. Questo il nome del mezzo più popolare dell'est asiatico, colorato ibrida a metà tra una motoretta e un furgoncino, ribattezzato così per il caratteristico scoppiettìo del motore.
Poi decido di incamminarmi per il lungo stradone, diretto alla stazione dei bus. Calcolo un pugno di chilometri: quisquilie, per chi è arrivato sotto l'Everest a piedi. Ma ben presto mi rendo conto che in confronto la traversata sull'Himalaya è stata una passeggiata.
Tuk-tuk, tanto pittoreschi quanto rumorosi |
Calano le tenebre. Il suddetto stradone brilla (si fa per dire) per assenza di lampioni e segnali stradali.
Una cosa ho appreso: nell'Asia rurale il buio è buio. Nelle città europe la notte è una mera continuazione del giorno, accompagnata com'è dall'accendersi delle luci, dentro e fuori casa. Il ritmo non cambia (anzi, spesso accellera), mentre il brusio del mondo continua indefesso.
Qui invece la notte segna la fine di tutto: giorno, attività, luce, rumori. Difficile descriverlo se non l'avete mai vissuto, se non avete passato almeno una notte dentro una tenda in montagna. Il mondo esterno viene inghiottito in pochi minuti da un nulla cupo e minaccioso, in cui si odono a volte in lontananza i versi perduti di alcuni animali. Dentro le case tutto tace. Si va a letto, inevitabilmente. E ci si sveglia all'alba, insieme al mondo, insieme a quella luce benedetta che permette ai nostri poveri occhi ciechi di potere illudersi di nuovo di essere i padroni, o i viaggiatori, di questo mondo. Ora capisco. È per questo che in tutti i paesi dove sono stato la celebrazione più importante si chiama festa della Luce.
Chiederei pure di che si tratta, se solo avessi tempo! |
Ma per me l'alba è ancora lontana. Procedo alla cieca sullo stradone. I chilometri magicamente si moltiplicano. Accellero il passo. Lo zaino pesa. La stazione non compare. I dubbi di essermi perso aumentano. Tra pochi minuti mi parte il pullman, e non siamo in Italia: non posso nemmeno fare affidamento sul solito ritardo.
Ai bordi della strada centinaia di ragazze siedono dietro minuscoli banchetti pieni di biglietti con degli animali disegnati sopra. Non so se si tratta di lotteria, censo zoologico o un oroscopo à la carte. Fatto sta che sono centinaia. E che nessuna di loro parla inglese. So che bus station in lingua lao non suona familiare come in italiano, peró dopo che ho mimato per l'ennesima volta un bus - provateci e vi accorgerete che non è affatto facile - sono disperato.
Finché una di loro capisce. O almeno è quello che spero. Si alza e mi fa cenno di seguirla. Come in un racconto di fate i fili dorati del suo sarong brillano davanti a me al buio. Arrivo pochi attimi prima che parte il pullman. Vorrei baciarla, ma preferisco passare la notte sul bus piuttosto che in carcere.
Ovviamente io prendo quello dei locali |
Nessun commento:
Posta un commento