sabato 20 dicembre 2014

Trenta piccoli serial killers sull'Isola del Coniglio

Koh Tonsay, o Rabbit Island, è la tipica isola di sabbia bianca e palme, da cartolina. Per un attimo me ne fotto di essere un turista alternativo, mi è piaciuta così tanto che ci ritorno. E poi il turismo di massa ancora non è arrivato, né l'energia elettrica, di notte ci rimangono pochissime persone: meglio approfittarne, prima che diventi come una delle tante isole a sud di Bangkok dove si parla più russo che thai.
Ah, si chiama così perché ha la forma del coniglio. Questo vi fa capire che in Cambogia non hanno mai visto un coniglio.

Manca solo il francobollo e la scritta "Saluti da..."
Dove lo vedono il coniglio? Spiaccicato sull'asfalto, forse

Faccio amicizia con quattro tedeschi ben assortiti. Un coppia, di cui lui punk estremo (ha un topo come animale di compagnia) e lei fighettina aracnofobica, più due sorelle. La prima cosa che faccio appena arrivato è una nuotata come Poseidone comanda, visto che la scorsa volta dovevo tornare sulla terraferma con l’ultima barchetta. Stavolta rimango a dormire qui, quindi mi dirigo verso l’isola più vicina. A nuoto. Senza conoscere nulla sulle correnti locali e sulle abitudini alimentari degli squali. Il mio angelo custode scuote la testa sconsolato e si tocca le palle. Ci metto tre ore, tra andata e ritorno, riposandomi solo pochi minuti sull’isoletta che ribattezzo Alegrìa per conto del Re di Spagna e Portogallo.
Ho ancora energia da vendere, con le sorelle Kessler faccio il giro dell’isola in kayak. Vediamo un pugno di capanne, molte trappole per i famosi (e saporitissimi) granchi blu, una famiglia che secca al sole delle alghe da vendere ai vietnamiti. Dall’altra parte della spiaggia, vicino agli scogli acuminati, c’è l’unica costruzione in muratura della minuscola isola: un commissariato.
Scopro che Koh Tonsay ha 30 abitanti e 4 poliziotti. Improvvisamente questo paradiso di sabbia bianca e palme è inquietante. Mi sento come in Dieci piccoli indiani di Agata Christie. Alle dieci si spegne il generatore a petrolio e l’isola piomba nel buio. Immagino gli abitanti dell’isola alzarsi silenziosamente dalle loro amache e fare strage degli ingenui turisti, per poi servirli con una deliziosa salsa di cocco a quelli che sbarcheranno la mattina seguente. Adesso guardo con occhi diversi la ciarliera signora che non smette di fare battute. Non sembra nemmeno cambogiana, chissà da quale carcere di massima sicurezza è scappata. Non certo da quello di Kampot.

I bungalow sono a pochi metri dalla spiaggia: ti svegli e... SPLASH!
Gabbie per i famosi (e saporiti) granchi blu locali

Quando staccano il generatore il silenzio avvolge l'isola.
Almeno finché non si avvicina un simpatico signore sulla settantina. È francese, ovviamente. Con una moglie di quarant’anni più giovane. Inizia un monologo infinito che spazia dalle politiche economiche della Comunità Europea alla musica tradizionale tailandese. Fino ad arrivare gli inglesi, che secondo lui sono degli emeriti imbecilli. È francese, non scordatevelo. Mi guardo intorno e gli faccio notare che è possibile, anzi altamente probabile, che intorno ci sia qualche inglese. E che lui sta parlando in inglese. Come se niente fosse lui continua il suo j’accuse, aumentando il tono della voce. Finché il tranquillo signore accanto a noi, anche lui sulla sessantina, finisce la sua seppia con le arachidi, si alza e si siede di fronte al francese. Poi, con impeccabile accento british gli fa: You are a French asshole. Sei un testa di cazzo di francese. Il francese urla “Sì” e si alza in piedi eccitato, pronto alla pugna. L’inglese lo guarda schifato e se ne va. A me dispiace un po’, una rissa all’ultimo sangue tra due settantenni in un’isola paradisiaca non succede tutti i giorni. O forse sì, ed è per questo che ci sono quattro poliziotti.


La mattina dopo siamo tutti ancora vivi. Anche il francese.
Oggi è festa: dai barconi scendono frotte di khmer, tutti equipaggiati per il picnic come la più previdente delle madri terrone. Quintali di cibo e bevande si riversano sulla spiaggia insieme a palloni colorati, impianti stereo vietati dalla Convenzione di Ginevra e griglie di varie dimensioni. Da quelle per arrostirci il pollo a quelle per il brasato di squalo-balena. La giornata trascorre tra frizzi e lazzi, tra un’insalata di papaia e l’altra, con la musica a palla che non perdona. Sguazzano allegramente nell’acqua, le ragazze vestite di tutto punto, ignorando chiaramente che l’effetto bagnato trasforma una innocente maglietta nel più pericoloso dei sex toys.
Io li guardo sguazzare e dopo essermi rimpinzato di granchi blu mi preparo alla siesta. Da quando ho letto che in Cambogia oltre 600 persone all’anno muoiono perché colpite da noci di cocco sto attento a dove mi sistemo.

Vado a fare colazione (foto di Laura Jakubowitz)
Il mio rumoroso coinquilino (foto di Laura Jakubowitz)
Siesta (foto e maglietta di Laura Jakubowitz)
Alghe belle! Alghe fresche! (foto di Laura Jakubowitz)

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