martedì 30 dicembre 2014

Sabong. Il cerchio si chiude (nel sangue)

La famiglia che ci affitta i bungalow ha dei galli. Tutti hanno galli. Molti galli. Galli come se piovesse. Galli addiribasta. Evidentemente non è bastato prendere un aereo per sfuggire a questa piaga biblica che non mi farà dormire nemmeno qui.
Per un attimo la curiosità prende il sopravvento sulla sete di vendetta e chiedo alla signora come mai queste graziose creature devono spaccarmi i coglioni in così grande numero anche qui. Vengo a sapere qual è  lo sport nazionale delle Filippine. Non posso crederci. Con la memoria ripercorro i momenti salienti della mia vita, alla ricerca di una colpa che possa giustificare tanto odio da parte dell’universo.

Finalmente capisco il proverbio dei due galli nello stesso pollaio

Sabong, la lotta tra galli. Più sacra di San Pallone in Italia, e ho detto tutto. Una religione, più che uno sport. I galli famosi vengono coccolati come delle star, con tanto di casette individuali e un'alimentazione che qui non riservano nemmeno ai propri figli (un gallo da battaglia costa dai 5000 ai 7000 pesos, e poi lo devi allenare). Ogni filippino ha una dozzina di galli” che alleva, cura, addestra per l’agone. Il calcolo è semplice: cento milioni di filippini moltiplicato per dodici galli fa zero ore di sonno. 
Mentre mi sta per partire un bestemmione galattico ci penso su. In fondo è qui che i miei nemici giurati trovano la loro giusta fine. Uccidendosi l’uno con l’altro senza pietà. Il mostro che è in me sogghigna, mentre Hyde ruggisce per venire a galla. E lo fa domenica pomeriggio.

Il figlio allena i galli con un fantoccio (foto di Coralie Pelletret)
La micidiale lama si aggiunge al momento (foto di Coralie Pelletret)

Accompagnato da Zaka mi dirigo nell'arena di Anda.
Appena entro vengo investito da un frastuono che quasi mi butta a terra. I galli vengono presentati al pubblico mentre tutti esplodono in grida a me incomprensibili. Sembrano dei broker epilettici durante il crollo della Borsa. Va bene, stanno scommettendo, ma cosa? Indicano con le dita le somme da giocare (spropositate: fino a 5000 pesos, ovvero il salario medio mensile), ma con chi? Non c'è nessuno che raccoglie i soldi. Ci metto una ventina di minuti per capire, tanto la cosa è lontana dall’italico modo di fare.
Il fatto è che scommettono tra di loro: ognuno cerca intorno un altro che scommetta la stessa cifra sul gallo avversario e alla fine del combattimento chi perde paga. Con la massima tranquillità, senza fare storie, sborsando cifre da capogiro. Che onestà. In Italia i perdenti se la darebbero a gambe, inseguiti dai vincitori furenti, e il tutto finirebbe a colpi di crick.

Il cockpit di Anda, io sono di quinta (foto di Coralie Pelletret)

Mentre cerco di sviscerare l'antropologia locale del gamblig le urla arrivano al cielo. I galli vengono avvicinati uno all'altro, innervositi, provocati, incitati alla pugna. Alle zampe hanno legata una lama affilatissima di 4-5 centimetri. Il combattimento finisce con la morte dell'avversario.
La prima lotta a cui assisto dura pochi secondi, un pennuto crolla al suolo. Collasso cardiaco, mi spiega un vicino, i galli hanno un cuore debole e non sopportano tanto stress. Mi sfiora un sentimento di pietà per quelle povere (bastarde) bestie.
La seconda  lotta  è orribilmente crudele, uno dei due becca l'altro fino a straziarlo. Mi sfiora un sentimento di repulsione alla vista di tanto dolore.
La terza  lotta  finisce in un lago di sangue. Inizio a farci l'abitudine.
Alla quarta  lotta inizio a scommettere. Valuto velocemente dimensioni, aggressività, destrezza, flessibilità del collo, posizione della lama.
Alla quinta lotta sono in piedi e urlo come un ossesso (in italiano) Vai, biondo! Strappagli il cuore a quel figlio di puttana! Mettigli quella cazzo di lama tra le scapole!
Zaka mi guarda preoccupato. Mi sfiora il ricordo di quando un giorno a Barcellona partecipai a una manifestazione contro la corrida, ma è solo un attimo: arrivano altri due galli e devo studiarli, non c'è tempo per inutili nostalgie. 
Sono anche piuttosto bravo, il filippino accanto a me capisce che ci azzecco e inizia a puntare sullo stesso gallo su cui punto io. Scommetto. Grido. Incito. Vinco. Esulto. Passo così tutto il pomeriggio della domenica, insieme a una folla di maschi sudati e urlanti, con i soldi appallottolati e lanciati dagli spalti. Inutile fare morale se non ci siete stati, inutile citare a sproposito Gandhi e San Francesco. Solo il cuore sensibile di alcuni ultras può capire quello che ho provato io in quell'arena sporca di segatura e sangue. 
Il cerchio si chiude. I galli mi ripagano di tanto sonno perso con un grande spettacolo e con un bel po’ di soldi.

Game over

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