venerdì 26 dicembre 2014

Quattrocento anni in convento e cinquanta a Hollywood

Quattrocento anni in convento e cinquanta a Hollywood: così qualcuno riassume la storia della colonizzazione nelle Filippine, prima sotto dominio spagnolo e poi controllata dagli USA. Che in ogni caso non è riuscita a omogeneizzare una miriade di esistenze diverse. Ci sono però delle cose che accomunano tutti i filippini, facendone un mosaico colorato diverso dal resto dell'Asia. 
Uno: il pane. Centinaia di panifici, centinaia di prodotti diversi, tonnellate di carboidrati ingurgitate quotidianamente. Niente noodles (se non nella locale versione della pancit), qui regna solo il pane e i dolci e i pasticcini, di cui vanno matti più che a Palermo.

Il pane bi- o tri-quotidiano

Due: la religione. È l'unico paese asiatico a (schiacciante) maggioranza cattolica. Un cattolicesimo spagnoleggiante, con tutto il dramma e la passione e i doppifondi del caso. Bohol è piena di presepi, l'unica strada che fa il giro dell'isola sembra un sagrato di Benevento.

Il vecchio Dio (sullo sfondo)...

Tre: il karaoke. Questo flagello divino, oppio dei popoli, quinto cavaliere dell'Apocalisse, ha messo radici nella società filippina come da nessuna altra parte al mondo. Ho visto macchine di videoke anche in mezzo alle baracche distrutte dai tifoni, distinti signori in doppiopetto che striduli tentavano degli improbabili acuti, una donnona cantare tutta sola e serissima fino a tarda notte davanti a uno schermo luminescente.
È difficile capire quanto sia importante il karaoke, quanto profondamente faccia parte della loro cultura: è come la birra per gli inglesi, la mamma per gli italiani, l'onore per i giapponesi, la retorica per gli statunitensi. Ed è la MORTE per qualsiasi altro essere vivente dotato di orecchie.

...e quello nuovo, l'implacabile videoke.


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