mercoledì 31 dicembre 2014

I vulcani di Camiguin

Bohol è bella. Le Chocolate Hills, i buffi tarsiers, le risaie, le palme, il pollo all’aceto, le casette con i fiori, il verde lussureggiante, la caotica capitale Tagbilaran. Ma la tranquilla Anda e le sue spiagge bianche rappresentano l’angolino più affascinante. Sarà per il mare che mi circonda, sarà per il sorriso della gente, sarà perché in una settimana già mi sento parte della comunità locale, ma io ad Anda mi sento felice. Capisco perché Marc viene qui da anni. Io però oggi vado via. Lo saluto, saluto anche Nanay e sua figlia Destiny, la bakery. Le Filippine mi sono già entrate nel cuore: com’è diverso fermarsi in un posto per tanti giorni e conoscere la gente, rispetto al Bus&Go che praticavo in Cambogia. 
Prendo il ferry che mi porterà a Camiguin, a sud. Sprovveduto come un granchio, sono rimasto senza soldi. Il Nepal e la Cambogia evidentemente non mi hanno  insegnato niente. L’unico bancomat è fuori uso. Se non fosse stato per le poche centinaia di pesos vinti allo lotta tra galli sarei rimasto a terra. Grazie, pennuti maledetti.

Dentro la nave impazza il karaoke. Sullo sfondo, Camiguin
White Island: i filippini non ci credono, ma ci sono arrivato a nuoto

Camiguin è pieno di vulcani. Pare sia il posto al mondo dove ci sono più vulcani per chilometro quadrato. Vero o no, dalla nave sembra l’isola di King Kong. L’interno è dominato dalla giungla e da coni vulcanici. Scendiamo, ci infiliamo in quattordici dentro un tuk-tuk e cerchiamo dove passare la notte. L’isola è piena di presepi surreali fatti di noci di cocco, illuminati a giorno, lungo l’unico grande stradone che fa il giro dell’isola. Ogni tanto un blackout, troppi presepi. Tra un presepe e l’altro ci sono dei piccoli bar dimessi, dove enormi uomini bianchi di mezza età bevono e scherzano accompagnati da giovani ed esili filippine in silenzio. Chissà che storia c’è dietro di loro, bianchi e filippine. 
Io, Zaka e Coralie ci installiamo dentro dei bungalow che sembrano abbandonati su una spiaggia nera come fuliggine, in mezzo alle palme. Lasciati a noi stessi, con il bar-reception che apre agli orari più impensati. In qualunque momento potremmo andare via senza pagare, come nella maggioranza dei posti in cui sono stato. Si vede che gli italiani qui ancora non sono arrivati.
Poggio le mie cose nella capanna, mi metto il costume, mi dirigo verso la sabbia vulcanica. A un paio di chilometro davanti a me White Island, una minuscola striscia di sabbia e corallo morto che cambia forma con le maree. Calcolo la distanza: ci vorrà più o meno un'oretta, oretta e mezzo. Le correnti non sembrano proibitive. Non vedo pinne di squalo affiorare. Mi tuffo. Nuoto lentamente, senza fermarmi, fino a vedere finalmente sotto di me i coralli affollati dell'isoletta. Mi tiro su, in piedi, sulla sabbia bianca, guardo i vulcani di Camiguin e mi riempio i polmoni di vento pulito e salsedine. Poi mi ributto in acqua e punto verso la terraferma.
Perchè oggi è l'ultimo dell'anno e perchè sono uno splendido quarantenne.

Oggi è così, domani chissà che forma avrà

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