sabato 13 dicembre 2014

Psichedelia e atti osceni in pieno delirio collettivo

Come ormai saprete, per le feste ho un certo culo. E senza saperlo nè volerlo il giorno dopo essere sbarcato a Don Khong becco l'evento dell'anno: la gara di piroghe, condita da un festival di dimensioni colossali che trasforma un'isola sonnacchiosa in una enorme e surreale Woodstock asiatica.

Le squadre iniziano a prendere le misure

Gli abitanti passano in poche ore da quattordici a quattordicimila, lungo il fiume non si può più camminare, i baracchini di tiro a segno e metti-dritta-la-bottiglia popolano le sterrate intorno al molo, i commercianti di sarong urlano la qualità della loro merce, l'odore della pasta fermentata di pesce e dello sticky rice con cocco riempie l'aria, la musica assordante proveniente dai palchi spazza via il silenzio fino a ieri rotto solo dal frusciare di mille libellule rosse. 
Sono i tre giorni che tutti aspettano da un anno. Fa impressione vedere le contadine, fino a stamattina chine sulle risaie con il tradizionale cappello conico di bambù in testa, sfoggiare tutta l'eleganza di cui sono capaci. Con tanto di vestitino attillato (sono piatte come il Mekong), tacchi (sono tappe come l'unica collinetta dell'isola) e rossetto (con cui hanno poca dimestichezza, e infatti sembrano tutte una versione grottesca di Joker). Si sta svegli per tre giorni di seguito fino alle 11 di sera. A volte addirittura fino a mezzanotte. 'Na botta de vita.

La vera protagonista del Festival: la Beerlao

Mentre impazza la festa facciamo la spola tra i tre concerti che ci sono in contemporanea, a pochi passi di distanza. Nel primo, piuttosto affollato, una ventina di ballerine in rosa o verde pistacchio fanno da siparietto tra un cantante e il successivo, un incrocio tra Domenica in e il Festival di Sanremo. Resistiamo sei minuti.
Sul secondo palco una poveretta si affanna a mantenere una certa dignità cantando davanti a un pubblico invisibile. Nessuno. A pochi metri migliaia di persone si sfondano di lao-lao e birra, però davanti alla cantante non c'è NESSUNO. Nemmeno un passante distratto, nemmeno sua madre, nemmeno il tecnico del suono. Un colossale spazio vuoto urla davanti a lei. Penso subito a un castigo. Probabilmente la tipa non l'ha data a un pezzo grosso del governo e questo è ciò che le resta di una promettente carriera. Oppure un'antica maledizione per cui lei è costretta a vagare per sempre senza nessuno che la ascolti, nemmeno quando chiede un caffè a un bar. O semplicemente a cantare è una cagna, ma non da occidentale non posso capirlo. 
L'ultimo è il migliore: questo concerto molto hard, dove un trans in minivestitino pezzato si dimena sul palco simulando improbabili orgasmi, rimarrà per sempre nella mia memoria. Purtroppo. La cosa bella è che mentre mister Leoparda si agita come una forsennata, in mezzo al pubblico (impassibile) passa tranquilla la classica venditrice con la brace in una mano e un vassoio di grilli fritti nell'altra. Il tutto davanti ai pinnacoli dorati del tempio buddista. Trans leopardata. Grilli fritti. Budda dorato. Dove mai potrò rivedere uno spettacolo così?

Dopo i rituali di presentazione, sotto un sole scioglicervello...
...la gara entra nel vivo!

Tre giorni di delirio. Sul fiume i tifosi delle rispettive squadre di canoa, venute qui da tutto il Laos, si sfegatano. Io, Nicolet e Scott proviamo a integrarci e ci scegliamo le squadre, ma dopo un intero pomeriggio non riusciamo a capire le regole della competizione. Nessuno può spiegarcele. I proprietari della nostra guesthouse sono così ubriachi che hanno portato un materasso e una zanzariera su una piattaforma sulla riva del fiume e dormono (collassano) lì da ieri. Un lao venuto da fuori mi mostra la macchina fotografica: vuole che gli scatti una foto con la famiglia, penso, e invece vuole una foto con me. Tutto intorno, il delirio, mentre sull'isola continuano a sbarcare centinaia di persone.

Il pubblico in delirio, almeno secondo i canoni lao

Poi, d'incanto, finisce tutto.
Io ero andato a fare la siesta, lasciando l'infernale carnaio alle mie spalle. Torno e non c'è più nessuno. Nessuno. In un'ora se ne sono andati tutti e 13.986: sono tornati nelle loro isole di provenienza, hanno smontato i baracchini di bambù lasciando un cimitero di buste di plastica e gusci di noci di cocco. Un'ora. Un'ora e l'isola è tornata ad essere quel deserto che è sempre stata, e che tanto mi piace, con le libellule rosse a giocare nel vento insieme ai sacchetti blu di polietilene.

Su questo prato poche ore fa c'era l'Armageddon

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