Altro viaggione in bus.
Mi sono dato la regola anti-capitale, che non è di stampo marxista ma turista: rimanere il minimo necessario nelle capitali. Le ho sempre trovate poco interessanti, stancanti, a volte decisamente fastidiose. Quindi salto Phnom Pen. Tre ore, giusto il tempo di cambiare bus e di rendermi conto che ho fatto la scelta giusta. I soliti grattacieli,
scams, traffico infernale, folle di
farang sudati. Non vale la pena, a meno che uno non cerchi una discoteca, delle prostitute a buon prezzo o voglia fare una passeggiata nei tetri corridoi del Museo del Genocidio. C'è chi lo chiama Autogenocidio, perchè Pol Pot torturò e uccise un paio di milioni di suoi connazionali, dopo avere svuotato completamente Phnom Pen (in due giorni) e trasformato tutto il paese in una comune agricola. Se amate la follia umana e le storie truculenti leggete dei
khmer rossi, del fantomatico
Angkar e del loro famigerato capo Pol Pot. Se amate anche i fumetti, leggetevi il bellissimo e delicato
Centomila giornate di preghiera.
Lungo il cammino mi salto anche il rituale del ragno fritto a Skuon. Non perché non ne abbia il coraggio, ma perché le tarantolone mi sembrano abbandonate su quei piatti da giorni, ad esclusivo uso turistico.
|
Claudio, questi sono per te... basta aggiungere una goccia di limone |
|
Qui Babbo Natale usa il furgoncino (foto di Laura Jakubowitz) |
Kampot, dove arrivo a notte fonda, è tutta un’altra cosa. Mi installo nella
Blissful Guesthouse, che diventerà il mio quartiere generale. Gestita da alcuni amabili inglesi espatriati che vivono in Cambogia da anni, si respira l’aria cinica e grigia di Liverpool tra le pareti di canna di bambù. Loro sono simpatici, prodighi di birra, aneddoti e consigli. E hai il grande vantaggio di ricevere i due punti di vista contemporaneamente, quello orgoglioso e locale e quello disincantato europeo. Ti danno anche il librettino fotocopiato e autoprodotto
Kampot Survival Guide, la più divertente ed efficace guida che potrete trovare in Cambogia.
Kampot è famoso per il pepe. Questo vi fa capire quanto sia tranquillo il posto. È qui che avrei dovuto incontrarmi con la mia amica Antonella, che faceva volontariato in un villaggi di pescatori qui vicino. L’appuntamento era 23 giorni fa, lei nel frattempo è tornata in Belgio. La mia virtù, chi mi conosce lo sa, non è mai stata la puntualità.
|
Lazy corner nella Blissful Guesthouse |
|
Una strada della quieta e gradevole Kampot |
Il giorno dopo giro un poco Kampot e poi vado a Kep, sul mare, da cui prendo una barchetta per Rabbit Island. Qui mi faccio la mia prima nuotata in un mare e conosco Coline. Francese, inutile dirlo.
Esploriamo in moto il piccolo parco naturale lì vicino, senza mai raggiungere le mitica
Sunset Rock. Anche perché ci sorprende la notte e Coline ha paura del buio negli spazi aperti naturali (nictagorafobia?). C’è un bel pezzo prima di tornare a Kampot e visto l’orario rischiamo di rimanere digiuni. Con nostra grande sorpresa la cena familiare in un baracchino cadente lungo lo stradone polveroso, tra i bambini che giocano e due minuscoli cuccioli di cane, è il più bel ricordo della giornata.
|
Indovinate qual è il piatto tipico di Kep? |
Nessun commento:
Posta un commento