giovedì 18 dicembre 2014

Skuon e Kep, ragni e granchi (saltando i genocidi)

Altro viaggione in bus.
Mi sono dato la regola anti-capitale, che non è di stampo marxista ma turista: rimanere il minimo necessario nelle capitali. Le ho sempre trovate poco interessanti, stancanti, a volte decisamente fastidiose. Quindi salto Phnom Pen. Tre ore, giusto il tempo di cambiare bus e di rendermi conto che ho fatto la scelta giusta. I soliti grattacieli, scams, traffico infernale, folle di farang sudati. Non vale la pena, a meno che uno non cerchi una discoteca, delle prostitute a buon prezzo o voglia fare una  passeggiata nei tetri corridoi del Museo del Genocidio. C'è chi lo chiama Autogenocidio, perchè Pol Pot torturò e uccise un paio di milioni di suoi connazionali, dopo avere svuotato completamente Phnom Pen (in due giorni) e trasformato tutto il paese in una comune agricola. Se amate la follia umana e le storie truculenti leggete dei khmer rossi, del fantomatico Angkar e del loro famigerato capo Pol Pot. Se amate anche i fumetti, leggetevi il bellissimo e delicato Centomila giornate di preghiera.
Lungo il cammino mi salto anche il rituale del ragno fritto a Skuon. Non perché non ne abbia il coraggio, ma perché le tarantolone mi sembrano abbandonate su quei piatti da giorni, ad esclusivo uso turistico.

Claudio, questi sono per te... basta aggiungere una goccia di limone
Qui Babbo Natale usa il furgoncino (foto di Laura Jakubowitz)

Kampot, dove arrivo a notte fonda, è tutta un’altra cosa. Mi installo nella Blissful Guesthouse, che diventerà il mio quartiere generale. Gestita da alcuni amabili inglesi espatriati che vivono in Cambogia da anni, si respira l’aria cinica e grigia di Liverpool tra le pareti di canna di bambù. Loro sono simpatici, prodighi di birra, aneddoti e consigli. E hai il grande vantaggio di ricevere i due punti di vista contemporaneamente, quello orgoglioso e locale e quello disincantato europeo. Ti danno anche il librettino fotocopiato e autoprodotto Kampot Survival Guide, la più divertente ed efficace guida che potrete trovare in Cambogia.
Kampot è famoso per il pepe. Questo vi fa capire quanto sia tranquillo il posto. È qui che avrei dovuto incontrarmi con la mia amica Antonella, che faceva volontariato in un villaggi di pescatori qui vicino. L’appuntamento era 23 giorni fa, lei nel frattempo è tornata in Belgio. La mia virtù, chi mi conosce lo sa, non è mai stata la puntualità.

Lazy corner nella Blissful Guesthouse
Una strada della quieta e gradevole Kampot

Il giorno dopo giro un poco Kampot e poi vado a Kep, sul mare, da cui prendo una barchetta per Rabbit Island. Qui mi faccio la mia prima nuotata in un mare e conosco Coline. Francese, inutile dirlo.
Esploriamo in moto il piccolo parco naturale lì vicino, senza mai raggiungere le mitica Sunset Rock. Anche perché ci sorprende la notte e Coline ha paura del buio negli spazi aperti naturali (nictagorafobia?). C’è un bel pezzo prima di tornare a Kampot e visto l’orario rischiamo di rimanere digiuni. Con nostra grande sorpresa la cena familiare in un baracchino cadente lungo lo stradone polveroso, tra i bambini che giocano e due minuscoli cuccioli di cane, è il più bel ricordo della giornata.  

Indovinate qual è il piatto tipico di Kep?

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