martedì 23 dicembre 2014

Un arcipelago di sorprese: all'ultimo momento, Filippine!

Le più belle sorprese sono quelle inaspettate. Ma come? direte voi, una sorpresa è sempre inaspettata! Sbagliato. Se vado in Laos, che fino a sei mesi fa non sapevo manco esistesse, è ovvio che mi aspetti sorprese. A sporte. Nulla in confronto a quelle trovate nelle Filippine. 
Decido di andare in Indonesia, su indicazione di Enguerrant e Valerie. Un attimo prima di fare i biglietti do un’occhiata al meteo: tifoni, maremoti, uragani, spiagge spazzate via, traghetti affondati e Godzilla che a Natale suole devastare l’intera Sumatra.
Che fare? Tra un'ora lascio la Cambogia e non ho ancora una destinazione. Myanmar? Malesia? Bangladesh? Uno ha la dittatura militare, l'altra il turismo di massa russo, l'ultimo una gastronomia scipita. Mi arriva una mail di Coralie, che alla fine non è andata in Vietnam. Si trova a Bohol, una remota isola delle Filippine, dice che sta benissimo. Guardo il meteo di Manila: sole. Guardo la bandiera filippina, ha gli stessi colori dei paesi finora visitati: bianco, rosso e blu. Traccio una linea immaginaria che va da Kathmandu all'isola in questione, a metà c'è il Laos. Tutto quadra: la prima tappa sono stati i ghiacciai del Nepal, la seconda le risaie che accompagnano il corso del Mekong, la terza saranno le isole disseminate nell’arcipelago filippino.
Per me è più che sufficiente. Faccio il biglietto.
Sono le sei di mattina, tra meno di 12 ore sarò in un paese che fino a pochi minuti fa non pensavo di visitare nemmeno di striscio.
E poi al centro dell'isola ci sono centinaia di collinette vulcaniche che sembrano arancine: è ovvio che sarei finito lì.

Chocolate Hills, delle colossali arancine in mezzo alle palme
I minuscoli abitanti di Bohol: se li bagni di notte diventano cattivi?
Tutti insieme nella banconota da 200 pesos.
 
Per arrivare a destinazione utilizzo tutti i mezzi di trasporto che l'uomo ha inventato: tuk-tuk fino al centro di Siem Reap, poi bus fino alla frontiera, poi furgone per passare in Thailandia, poi minivan fino a Bangkok, poi treno fino all'aereoporto, poi aereo fino a  Manila, poi altro aereo fino a Cebu, poi taxi fino al porto, poi nave fino a Bohol, poi tricycle a Tagbilaran, poi corrierone fino ad Anda.
Anda è ovviamente il posto più lontano, dove finisce la strada dell'isola. E anche l'isola.
Nel frattempo, due episodi.
Il primo: nell'aeroporto di Bangkok non voglio farmi decollare. Per andare nelle Filippine devo avere un biglietto di ritorno: lo faccio in tre minuti, indicando una destinazione a casaccio tra quelle più economiche. Mi rimane il dubbio di avere prenotato un charter per il nord della Siberia, ma ho l'attrezzatura da neve in fondo allo zaino e non mi preoccupo più di tanto.
Mi preoccupo invece quando dopo essere usciti dal traffico tentacolare di Cebu il tassista accosta in mezzo al nulla, in una periferia deserta alla Blade Runner. Gli chiedo perchè ci siamo fermati, lui mi indica un punto inequivocabile al centro dei suoi pantaloni. Non capisco, o non voglio capire. Mi guarda, puntando di nuovo il dito sulla cerniera. Gli mostro una banconota, sottolineando la mia intenzione di pagare in natura. Lui indica di nuovo la cerniera, con decisione. Sventolo con maggiore vigore la banconota, confidando nel cambio con il dollaro.
Mi guardo intorno: nessuno. L'ultima macchina è passata da qui la settimana scorsa.
Gli dico che ho fretta, devo prendere il ferry per Bohol. Ma lui ha più fretta di me. Con la mano tira giù la cerniera, con un gesto rapido, mentre io aggiungo una seconda banconota di mancia.
Poi scende dal taxi e piscia sul bordo della strada.
Come sarebbe più facile se tutti parlassero inglese.

Questa è l'isola di Bohol, nelle Filippine...
...Anda è in fondo a destra, lontano dal resto del mondo. 

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